Appello alla Ministra Fedeli: c’è bisogno di educazione digitale nelle scuole. Ora!

Gentile Ministra Fedeli. Gentile prossimo ministro all’Istruzione.

Sono Daniela, ho 29 anni.

Dopo la laurea in informatica e dopo qualche anno di lavoro in quel campo ho sentito forte non mi bastava stare 9 ore davanti ad un pc a comunicare ad una macchina quali operazioni doveva fare.

Così ho ricominciato a studiare, completando il mio percorso di studi con una magistrale in Scienze della Comunicazione … si, quella che tanti miei colleghi identificano come “scienze delle merendine“.

Se un tempo quella battuta poteva anche farci fare un sorriso, oggi le cose sono cambiate.

Solo pochi giorni fa ha fatto scalpore la notizia, l’avrà sentita anche lei, di un ragazzo, mio coetaneo, che a Rimini si è trovato sul luogo di un incidente, con un ragazzo che dopo un incidente in motorino era a terra, agonizzante. E invece che chiamare i soccorsi ha preso in mano il suo smartphone e ha fatto una diretta Facebook, chiedendo ai suoi follower di chiamare aiuto.

Pare che in realtà i soccorsi fossero già stati chiamati, ma non è questo strettamente il punto.

Riporto dalla cronaca: “Mi sono fermato con la macchina e ho trovato il corpo lì davanti a me”, racconta stamattina, spiegando di essere rimasto “sconvolto, sotto shock” e di aver voluto “far qualcosa per quel giovane a terra.

Io sono sicura che il ragazzo non cercasse visibilità con questo gesto. Mi lascia però molto interdetta questo fatto che la prima cosa che gli sia saltata in mente sia stata quella di fare una diretta Facebook. Ovviamente in barba alla privacy del poveretto che giaceva a terra.

Intendiamoci, non è la questione che si tratti di un 29enne, perché l’avrebbe fatto anche un adulto.

Ma il peggio, evidentemente, doveva ancora venire. Sotto la sua diretta sono incominciati a piovere centinaia di commenti pieni d’odio e di insulti.

Non credo di dirle nulla di nuovo. Lo sappiamo bene che i Social Media sono diventati il nostro sfogatoio preferito. Intendiamoci bene, non che prima di Facebook le persone non dicessero certe cose, solo che adesso davanti ad uno schermo abbiamo meno di quello che io chiamo “controllo sociale”.

Per inciso, io sono consapevole per prima che davanti ad uno schermo sono portata ad essere più aggressiva e senza filtri, e non sa quante volte ho dovuto tirare fuori tutta la mia buona volontà per impedirmi di postare dei messaggi troppo ironici o con alune cattiverie. Ringrazio di riuscire a fermarmi in tempo, ma comprendo perfettamente chi non ci riesce, perché a volte anche a me a volte l’INVIO scappa lo stesso.

Si chiederà perché tutto questo sproloquio, e arrivo al dunque.

Oggi ci troviamo di fronte ad una quasi totale mancanza di empatia e pietà, totale mancanza di senso pratico e azione. Non ci si sente mai responsabili per gli altri, nel bene o nel male.
Tutto ciò è abbastanza tragico e pericoloso. Non è una cosa che è nata oggi, ma che abbiamo costruito nel tempo. E secondo me non è nemmeno partito dai Social Media.

Questo è un punto a cui tengo molto: non è colpa dei Social Media. Io sono una sostenitrice dei Social Media – se usati con zucca. Solo forse i Social Media hanno accelerato e amplificato il fenomeno perché ci permettono di vedere cose che prima non vedevamo.

E’ diventato tutto di passaggio, tutto liquido.

Da qualche anno, grazie al mio doppio percorso professionale, sono chiamata a tenere workshop, incontri, momenti formativi a giovani e ragazzi sul tema di educazione digitale. Sono contenta quando riesco parallelamente ad incontrare anche i genitori, perché abitare l’ambiente digitale è qualcosa in cui c’è bisogno di un accompagnamento, un affiancamento. E se non si hanno gli strumenti, non lo si può fare.

Oggi è diventato tutto estremamente facile e semplice: facile filmare, facile scusarsi, facile condannare. E poi, alla stessa velocità cambio stazione sulla autoradio, mi faccio un selfie e lo posto su Instagram.

Il problema, caro ministro, è che qui fuori c’è un abissale, enorme, bisogno di educazione (digitale). Metto la parentesi perché credo che la prima che manchi sia l’educazione, senza nessun aggettivo di accompagnamento.

Però, visto che questi “nuovi” media sono gli strumenti attraverso cui certi disagi emergono in maniera più prepotente, visto che questo è l’ambiente dove i ragazzi e i giovani ormai vivono, forse è in questo terreno che si devono provare ad affrontare la sfide.

A tutto ciò bisogna rispondere oggi, perché è già troppo tardi. E bisogna rispondere in modo sistematico e pragmatico e non solo con situazioni tampone come possono essere i corsi che offro con il mio progetto personale di educazione digitale.

Io e altre persone che come me offrono questi corsi stiamo facendo un lavoro che dovrebbe fare la scuola, a partire dalle scuole elementari. Stiamo facendo un lavoro che non dovremmo fare in maniera sporadica o a macchia di leopardo, ma che dovremmo fare come insegnanti a scuola.

Ed è qui che casca l’asino. Già di per sé la nostra quotidianità è pienamente intrisa in ogni suo attimo di comunicazione. Il primo assioma che studiamo all’università ci ricorda che in quanto uomini nessuno di noi può non comunicare.

Ma a maggior ragione oggi, dove la rivoluzione della comunicazione digitale ci ha travolti e forse un po’ presi alla sprovvista, dove le dinamiche comunicative evolvono molto più velocemente di quanto noi riusciamo a comprenderle è necessario ed indispensabile che la scuola si faccia carico dell’educazione digitale. 

Da qualche anno è stata introdotta una nuova classe di concorso “A-65 Teorie e tecniche della comunicazione”, 2 misere ore alla settimana in poche decine di istituti tecnici per la grafica in tutta Italia.

Come se la comunicazione, in senso più ampio, riguardasse solo una certa parte di futuri professionisti. Come se la comunicazione fosse solo mero marketing. Poi si, c’è anche quello. Ma non possiamo pensare che tutto si riduca lì.

Non possiamo pensare che un liceale del 2017 abbia meno bisogno di conoscere e sapere “maneggiare” la comunicazione di uno studente di una scuola professionale. Perché non è una questione professionale: è una questione sociale!

Sono briciole di ore dove nessuno di noi, tra l’altro, riesce a lavorare perché spesso i dirigenti scolastici, per coprire così poche ore, chiamano colleghi di un’altra classe di concorso già operanti nella scuola.

Il paradosso è che in altri generi di istituti su queste ore hanno priorità di graduatoria colleghi di altra classe di concorso, sempre quelli che già ci “rubano” le ore che sarebbero nostre.

Cara ministra, caro prossimo ministro, faccio un appello perché vengano introdotte ore di comunicazione o educazione digitale in ogni scuola di ordine e grado.

Al di là del fatto che tutti i professori ed insegnanti di oggi, andrebbero formati – ma per bene, ho dovuto partecipare a degli incontri davvero deprimenti oltre che anacronistici – su questo argomento, ci sono fior di professionisti – e magari chi come me lo sente come una missione – che possono mettersi al servizio del sistema educativo del nostro paese per aiutare i ragazzi e i giovani ad essere adulti migliori di domani, anche sotto questo aspetto così fondante per l’essere umano. 

Lo scorso anno scolastico ho avuto la fortuna di poter essere per qualche mese insegnante, anche se non su una cattadra della mia materia.

Ho potuto toccare con mano che imparare a comunicare bene, a relazionarsi in modo corretto con gli altri, ad utilizzare consapevolmente gli strumenti è e deve essere una priorità educativa della scuola. Una sfida che non può più aspettare e, che per il ruolo sempre più permeante che ha la comunicazione nelle nostre vite, da cui dipende il futuro sociale di questo paese.

Siamo tremendamente in ritardo, ma possiamo ancora recuperare il tempo perduto. Ora o mai più!

Daniela Baudino

 

 

 

 

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